Per quanto possano essere persone coraggiose e intelligenti, anche gli astronauti sono umani e, come tali, hanno bisogno di fare i propri bisogni!
L’evoluzione dei WC spaziali
Per i primi voli spaziali russi e americani il problema non si poneva, salvo imprevisti, data la loro breve durata. Da questo punto di vista, Alan Shepard, primo americano a completare un volo suborbitale nel 1961, non fu molto fortunato. Non c’era alcun piano su come avrebbe fatto pipì, dal momento che la missione sarebbe dovuta durare solo 15 minuti. Gli ingegneri non avevano considerato per quanto tempo Shepard sarebbe rimasto seduto sulla piattaforma di lancio prima. Dopo quattro ore, l’astronauta chiese il permesso di urinarsi addosso.
Successivamente, la NASA ha iniziato a fornire agli astronauti alcune attrezzature per la minzione. Alcune delle prime soluzioni sembravano preservativi ed erano disponibili in tre misure. La NASA li chiamava “polsini roll-on” e non erano progettati per essere utilizzati dalle donne. In effetti, le donne non furono ammesse al programma degli astronauti fino alla fine degli anni ’70 e fu solo nel 1983 che Sally Ride divenne la prima donna americana nello spazio.
Il bracciale in lattice era collegato a un tubo di plastica, una valvola, un morsetto e una sacca di raccolta. Non era un ottimo sistema e a volte l’urina fuoriusciva, anche perchè spesso gli uomini mentivano sulla dimensione effettiva del loro pene, rifiutandosi di usare guaine di una misura più piccola ma più adatta.
Successivamente, per le missioni Gemini e Apollo furono ideati due tipi di sacchetti. Per urinare, l’equipaggio dell’Apollo 11 e delle altre missioni lunari aveva a disposizione una sacca con all’estremità un dispositivo di contatto anatomico.
Il sacchetto per la minzione era collegato a un sistema di aspirazione delle urine sistemato sotto ai lettini di guida della capsula. Una pompa a vuoto aspirava il liquido, che finiva in un apposito serbatoio. Le urine andavano però scaricate nello Spazio: un comando permetteva l’apertura dell’ugello del serbatoio e il vuoto del cosmo faceva da aspiratore naturale.
Per i rifiuti solidi si usava una busta di plastica con una apertura adesiva da attaccare al posteriore, equipaggiata con una speciale rientranza su misura per un dito, da utilizzare come “strumento per il distacco delle feci”, che in gravità ridotta non è un processo così automatico come sulla Terra.
La NASA ha persino un registro di tutte le cacche individuali raccolte nelle missioni Apollo.
“Portami un tovagliolo, veloce. C’è uno stronzo che fluttua nell’aria”.
Tom Stafford
La NASA sviluppò anche un “sistema di contenimento fecale” per gli astronauti dell’Apollo da utilizzare quando si trovano fuori dalla navicella spaziale. Il sistema consisteva in un paio di slip con strati di materiale assorbente.
Con l’era dello Space Shuttle, arrivò finalmente il momento delle donne nello spazio. Per consentire alle astronaute di fare pipì durante il lancio e durante le passeggiate spaziali, la NASA ha creato un indumento di contenimento per assorbimento monouso, progettato per assorbire la pipì. Questo enorme “assorbente” poteva contenere circa 887 ml di urina.
Ma come viene smaltita oggi la pipì?
La situazione, oggi, è alquanto migliorata. Tuttavia, fare i bisogni nello spazio non è ancora un gran divertimento.
Per quanto riguarda l’urina, è relativamente semplice. Viene usato un imbuto dotato di un ventilatore che aspira la pipì, in modo che non galleggi via. Attualmente, il Sistema Spaziale Internazionale la raccoglie in modo efficiente e ne ricicla l’80-85%. Ci vogliono circa otto giorni, poi, perché il liquido diventi di nuovo acqua potabile per gli astronauti. Peggy Whitson, un’astronauta che ha raggiunto il suo limite di radiazioni dopo aver registrato 665 giorni nello spazio (un record americano), suggerisce che gli ingegneri troveranno un modo per creare un sistema a circuito chiuso e riciclare tutta la loro acqua.
Ma come funziona per “i bisogni solidi”?
Gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, ad oggi, fanno la cacca in un piccolo buco del gabinetto dalle dimensioni di un piatto e un ventilatore aspira i loro escrementi. Quando hanno finito, la cacca viene sigillata in un sacchetto di plastica, in attesa del prossimo giorno di spazzatura spaziale.
A volte, l’intero processo va storto o il bagno non funziona correttamente e gli astronauti devono prendere al volo una popò galleggiante. Alla fine, tutti quei rifiuti vengono spediti su una nave da carico che brucia mentre si precipita verso la Terra.