Scienza

Pareidolia: il fenomeno che ci fa vedere volti dove non ci sono

Perché continuiamo a vedere facce ovunque? Colpa (o merito) della pareidolia: ecco di cosa si tratta nello specifico.

Quante volte ti è capitato di guardare una presa elettrica e pensare “ehi, sembra che mi stia fissando”? Oppure scorgere una faccia buffa nel disegno di una piastrella o nel profilo di una montagna? Tranquillo, non è nulla di strano. Non stai impazzendo. È solo il tuo cervello che cerca di trovare un senso nelle cose. O meglio, sta facendo quello che ha sempre fatto: cercare volti. Perché sì, per lui è una questione di sopravvivenza.

Questa cosa ha un nome — pareidolia — e in pratica è un meccanismo che ci fa “vedere” qualcosa che in realtà non c’è. La versione più comune? Quella in cui riconosciamo volti umani in oggetti, ombre o superfici qualsiasi. Ed è una roba che scatta in automatico, come un riflesso. Il cervello ci fa associare quella forma a qualcosa di familiare, che conosciamo, e che in qualche modo ci provoca un’emozione. Bella o brutta, non importa.

Pensaci: è meglio confondere un cespuglio per un orso e fuggire per niente, che ignorare un vero pericolo. Ecco, è questo che ci ha salvato la pelle per secoli. Il cervello ci ha resi iper sensibili ai segnali, anche se sono solo accennati. Così bastano due ombre e una linea curva per farci “vedere” una faccia dove non ce n’è.

E poi la pareidolia non è solo visiva, eh. C’è anche quella sonora — tipo quando ascolti una canzone al contrario e senti una frase inquietante che nessuno ha mai detto. Quel classico effetto da “messaggio segreto”, per capirci. È sempre il cervello che, pur di trovare un senso, costruisce qualcosa dal nulla. E quando è buio, o sei stanco, basta poco per farti credere che un cappotto appeso sia… un fantasma.

Quando l’arte seguiva le pieghe della roccia

Di recente, alcuni archeologi hanno studiato delle pitture rupestri trovate in grotte nel nord della Spagna, e hanno scoperto una cosa interessante: gli artisti preistorici sfruttavano le forme naturali delle pareti per creare le loro figure. Tipo curve, crepe, sporgenze. Il fuoco o le torce illuminavano la roccia e — zac — appariva un cavallo, un bisonte, un animale qualunque. Con dei software moderni hanno provato a ricreare quella luce e hanno visto che oltre la metà delle immagini dipinte aveva una relazione diretta con la roccia stessa. Le forme della grotta ispiravano le figure, che spesso erano stilizzate, senza dettagli come occhi o criniere.

In pratica, gli artisti seguivano le linee già presenti. A volte completamente, a volte solo in parte. E in certi casi facevano un mix: un po’ ispirazione dalla grotta, un po’ creatività personale. Insomma, era quasi come se la grotta stessa partecipasse alla creazione, suggerendo dove disegnare cosa. E non sempre la pareidolia era protagonista assoluta: a volte l’artista ci metteva molto del suo. Altre volte, invece, lasciava fare tutto alla roccia.

Pareidolia su un tronco
Pareidolia su un tronco (Depositphotos foto) – www.qrios.it

Pure gli scimpanzé ci vedono le facce

E pare che non siamo nemmeno gli unici a fare questi “giochetti mentali”. Alcuni ricercatori giapponesi, all’università di Kyoto, hanno fatto dei test visivi su cinque scimpanzé. Gli hanno mostrato immagini con oggetti che vagamente ricordavano delle facce, e poi versioni distorte delle stesse immagini. E sai che è successo?

Gli scimpanzé hanno preferito le immagini che assomigliavano a facce. Anche loro, quindi, sembrano essere sensibili a questo tipo di illusioni. Non solo le riconoscevano, ma ci si soffermavano di più. E questo vuol dire una cosa: probabilmente, questa capacità è antica quanto noi. Magari già l’antenato comune tra esseri umani e scimpanzé riusciva a vedere facce nelle nuvole. E chissà… magari anche in una parete di roccia, come nelle grotte di Las Monedas.