Scienza

Terremoto in Giappone: non c’è nessun legame tra danni alle case e mortalità a lungo termine

Uno studio giapponese svela che la gravità dei danni subiti dalle abitazioni non incide sulla mortalità dei sopravvissuti al sisma del 2011.

Quando si parla di terremoti e disastri naturali, la prima cosa che viene in mente sono le immagini di edifici crollati, strade distrutte e città irriconoscibili. Ma c’è un aspetto meno visibile che spesso preoccupa gli esperti: gli effetti sulla salute dei sopravvissuti, soprattutto nel lungo periodo. È chiaro che un evento catastrofico può lasciare cicatrici profonde, sia fisiche che psicologiche, ma capire esattamente come e quanto influisca sulla vita delle persone non è semplice.

L’11 marzo 2011, il Grande Terremoto del Giappone Orientale (GEJE) ha colpito duramente la costa nord-est del Paese. Il sisma, seguito da un devastante tsunami, ha causato migliaia di morti e distrutto intere comunità. Oltre alle vittime immediate, gli studiosi si sono chiesti quali conseguenze a lungo termine abbia avuto il disastro sulla salute della popolazione colpita. Uno dei dubbi principali era se il grado di danneggiamento delle abitazioni potesse avere un impatto sulla mortalità futura.

L’idea di fondo è che chi ha perso la casa o ha vissuto per anni in condizioni precarie potrebbe aver subito un peggioramento della salute, magari a causa dello stress o della difficoltà di accesso alle cure. Alcuni studi hanno provato a indagare questo aspetto, ma i dati disponibili finora erano limitati a periodi di osservazione piuttosto brevi. Per questo, un gruppo di ricercatori giapponesi ha deciso di approfondire la questione con uno studio su larga scala, basato su dati raccolti nel corso di diversi anni.

Il team ha analizzato un’enorme quantità di informazioni provenienti da migliaia di persone che hanno vissuto il terremoto in prima persona. L’obiettivo? Cercare di capire se chi aveva subito danni più gravi alla propria abitazione fosse più a rischio di mortalità prematura rispetto a chi aveva avuto danni minori. E i risultati, pubblicati di recente, hanno riservato qualche sorpresa.

Un’indagine su migliaia di sopravvissuti

Per questo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati raccolti dal Tohoku Medical Megabank (TMM) Project, un’indagine che ha coinvolto più di 59.000 persone tra il 2013 e il 2016. I partecipanti hanno fornito informazioni dettagliate sul proprio stato di salute attraverso questionari, esami del sangue, analisi delle urine e controlli medici approfonditi. Utilizzando il modello di Cox per i rischi proporzionali, il team ha esaminato il rapporto tra le condizioni abitative post-terremoto e il tasso di mortalità nei successivi 6,5 anni.

Durante il periodo di studio, sono stati registrati oltre 1.700 decessi. A differenza di ricerche precedenti, che avevano monitorato i sopravvissuti solo per pochi anni, questa indagine ha permesso di ottenere un quadro molto più preciso sugli effetti a lungo termine. Oltre ai danni alle case, i ricercatori hanno considerato diversi fattori di rischio per la salute, tra cui disturbi psicologici, malattie metaboliche e cardiovascolari, che spesso emergono dopo esperienze traumatiche.

I risultati della ricerca (Tohoku University foto)
I risultati della ricerca (Tohoku University foto) – www.qrios.it

Nessun impatto dei danni sulle case sulla mortalità

E qui arriva il dato più interessante: non è emersa alcuna correlazione significativa tra il livello di danno alle abitazioni e il rischio di mortalità generale. Insomma, vivere in una casa fortemente danneggiata dal sisma o in una con danni più lievi non ha fatto la differenza, almeno in termini di sopravvivenza a lungo termine. Il professor Naoki Nakaya della Tohoku University ha spiegato che questo risultato potrebbe essere dovuto a diversi fattori. Uno dei più importanti? Le misure di assistenza sanitaria adottate dopo il disastro, che hanno garantito l’accesso alle cure e ridotto i costi per chi viveva nelle zone colpite.

Ovviamente, lo studio ha qualche limite. Le informazioni sul danno alle abitazioni sono state raccolte attraverso questionari auto-compilati, il che significa che alcuni partecipanti potrebbero aver fornito risposte imprecise o distorte dal tempo trascorso. Inoltre, il monitoraggio è iniziato due anni dopo il terremoto, quindi i decessi avvenuti nei primissimi anni non sono stati inclusi nell’analisi. Questo potrebbe aver portato a una sottostima del rischio per chi ha subito i danni più gravi.

Nonostante questi aspetti, la ricerca rappresenta un passo importante per comprendere meglio gli effetti di un disastro naturale sulla salute a lungo termine. Gli studiosi suggeriscono che servono ulteriori studi di follow-up, magari focalizzati sulle cause specifiche di morte, come malattie cardiovascolari e disturbi legati allo stress. Per ora, però, sembra che perdere la casa non significhi necessariamente perdere anni di vita.